- Il Valore della Tradizione
Nel panorama della lavorazione della terracotta in Calabria, Seminara rappresenta l'optimum per il suo genere di produzione che si caratterizza per le sue forme originali, per certi versi bizzarre, e la vivacità dei colori.
Seminara rappresenta un vero centro d'arte, i “maestri pignatari” lavorano l’argilla ancora secondo la più antica tradizione con pochi strumenti e molta fantasia, le loro mani plasmano con gesti rapidi e sicuri le forme più estrose: maschere, fiasche, borracce modellate a forma di tarallo, di colomba, di riccio di pesce o di paladino, di gendarme o di re che nell'irriverente gergo dialettale si chiamano "babbuini" e poi ancora anfore, utensili e vasi.
Proprio perchè modellato "a mano" ogni pezzo è "unicum" con evidente qualità superiore rispetto alla produzione di serie. Colori, decorazioni, ornamenti richiamano antiche leggende, rituali magici ed allegorie.
- Usi e Costumi dei Ceramisti di Seminara
Le tradizioni della ceramica seminarese affondano le loro radici nella storia della Calabria, in particolar modo, del periodo magno-greco. L'indubbia grecità di Seminara (P. Batiffol in "L'Abbaye de Rossano", Picard-Paris, 1891, pag. XXXII: "Seminara etait peuplèe exclusivament de Grecs"), ha influenzato non solo la cultura, la storia e l'arte della cittadina, ma anche l'artigianato. E' possibile riconoscere nelle forme delle cortare, o maschere seminaresi, i tratti tipici dello stile ellenico.
La ricchezza di materia prima presente sul territorio della cittadina, ha sicuramente favorito lo sviluppo della lavorazione dell'argilla. La creta, sia rossa che bianca, era presente in grandi quantità nelle contrade S. Antonio e Ponte Vecchio; come pure gli elementi essenziali per comporre smalti e ossidi: La vetrina e la silice erano reperite a Seminara o nelle zone limitrofe (Gambarie e Tropea).
Gli artigiani lavoravano e mescolavano, con sapiente e antica maestria, quanto il territorio offriva, ricreando i colori classici della tradizione (verde, giallo e blu) e riproducendo quelle forme tramandate loro dai padri.
Chi oggi ha la fortuna di visitare le antiche botteghe artigiane di Seminara, troverà al loro interno gli attrezzi che in passato erano utilizzati per compiere tutta quella serie di operazioni necessarie alla realizzazione dei manufatti.
Di estremo interesse e bellezza è il forno per la cottura della ceramica. Esso ha forma di pozzo, ed è diviso in due livelli di cui il primo, in basso, costituisce la camera da fuoco, collegata con dei fori al secondo livello adibito a camera di cottura. Le dimensioni del forno variano da bottega a bottega, ma non superavano mai i 2 metri di profondità e 1,80 metri di diametro. Il materiale con cui era costruito l'impianto era costituito da mattoni di terracotta legati insieme da una miscela d'argilla e terra chiamata "maddu". Il combustibile utilizzato nella fornace era composto da legna (castagno e ulivo) e sanza; due elementi che spesso venivano impiegati nella combustione. Alcuni artigiani facevano uso anche dei tralci della vite.
Le ceramiche seminaresi possono essere divise in due grandi categorie, utensili e artistici: i primi erano gli oggetti d'uso quotidiano (bicchieri, piatti, tegole, bombole, ecc); mentre i secondi avevano un significato popolare-animistico-religioso. A quest'ultima categoria appartengono il babbaluto, (simboleggiante ad esempio, il sesso maschile) o bombola circolare (simboleggiante il sesso femminile), il gabbacumpari e le maschere apotropaiche, queste ultime belle tanto quanto più brutte, concepite per proteggere il maligno.
Da un'omelia di Luca, vescoso greco di Bova a cavallo dei secoli XI e XII, apprendiamo che l'alto prelato invitava i fedeli, soprattutto gli uomini, a non servirsi più della flaskokrukella nei loro divertimenti scurrili o nel gioco, ozioso o pericoloso, della passatella, poichè il vino contenuto nella "bombola circolare" e da loro bevuto avidamente annebbiava la mente e spingeva spesso al delitto. A giunta ragione la flaskokrukella può definirsi una delle forme più antiche della ceramiche seminarese.
- L'Arte che diventa immortale
L’arte della ceramica a Seminara è quella di mantenere la tradizione, una tradizione fitta di misteri che si tramanda nei secoli e che ancora oggi fa vibrare I’anima.
Si narra, in particolare, di un incontro fatto a Ventimiglia da un artista locale durante una sua esposizione: …un uomo gli si avvicinò per osservare la ceramica di Seminara e disse “queste opere sono concepite da mani che sono d'oro ed esprimono un passato che non c’è più ma che grazie a queste opere continuerà a vivere” …quest’uomo era Pablo Picasso; volle comprare alcune opere che oggi si possono trovare in Francia al Museo Antibe ed in Canada al Museo di Toronto.
Altre opere sono rinvenibili a Firenze presso il Museo delle Tradizioni; altre ancora sono esposte nel Museo del Vaticano.
Attrazione per i turisti
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U monacu chi fui sapi i fatti soi
Se sei calabrese o di aree limitrofe potresti aver sentito il detto “U monacu chi fui sapi i fatti soi”, tradotto: il monaco che scappa sa quello che fa.
La raffigurazione di questo detto è avvenuta per opera del maestro Carmelo Mangione, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, uno dei massimi artisti dello stile liberty.
Mangione si divertiva a plasmare la statuetta di un monaco con espressione serafica raffigurato nell’atto di correre con una pesante gerla (cesto) sulle spalle.
Apparentemente piena di fiori ma con un peccato celato dentro di essa: una bellissima fanciulla dal corpo sinuoso. I romantici sostenevano che fosse l’allegoria della primavera, il popolo invece la considerava il classico ‘scheletro nell’armadio’ che anche le persone perbene a volte nascondono. I ceramisti più anziani narrano che il Mangione espose questa statuina alla fine dell’ottocento alla fiera della Madonna della Consolazione a Reggio Calabria.
Passava di li un frate che, mosso dalla curiosità, alzò lo scomparto che copriva l’interno della gerla e scoprì l’arcano segreto.
Furibondo iniziò a muovere accuse di vilipendio verso il ceramista e le forze dell’ordine, dopo accesi dibattiti, decisero di sequestrare le statuette.
- Marzu
Andando indietro nel tempo, quando carestie e pandemie flagellavano la popolazione, il popolo, sopratutto i meno colti, si legava a superstizioni e portafortuna.
“dopu u Natali lu friddu e la fami”
Questo detto viene reincarnato nella statuetta da presepe di Marzu o Martius, anche questa figura negli anni venne abilmente prodotta dalle mani sagge dei ceramisti seminaresi.
Un anziano consumato dalla vita avvolto nella mantella nera seduto a riscaldarsi, veniva posto in disparte nei presepi quasi a ricordarci che il Natale di li a poco sarebbe finito.
Infatti dopo le feste e le grandi abbuffate viene la quaresima e i momenti di magra e di sacrifici dove in tanti, agli inizi del secolo scorso, rischiavano di morire di fame.
Marzu stava li a ricordarci di mettere da parte qualche conserva per i mesi bui che sarebbero arrivati e poter sopravvivere fino all’arrivo della primavera.
- Folgorato dalla cometa
Altra figura, anch’essa presente nei presepi di altri tempi e metafora di una persona distratta o assente, era il pastore che vide per la prima volta la stella cometa.
Il suo stupore viene rappresentato da una statuina con il collo un po’ storto piegato all’insù e con un espressione del viso molto particolare. Per questo veniva chiamato “u llampatu dà stija” (meravigliato nel vedere la stella).
In genere tutte queste statue attecchivano sul popolo, che nonostante gli stenti e la povertà comprava queste piccole opere per la gioia dei ceramisti seminaresi che tramite anneddoti detti e dicerie applicavano tecniche di marketing già tanti secoli fa.
Dedicato a: Mastro Micuzzu Bonamicu, a Mastro Totò Ferraru, a Mastru Micu Ditto, a Mastru Paulu Condursu e a Mastru Totò Latinu.
Domenico Scordo